lunedì 31 dicembre 2012

La lezione di vita impartita da Rita Levi Montalcini

La ricercatrice e premio Nobel per la Medicina, Rita Levi Montalcini, se n'è andata, domenica 30 dicembre 2012, spentasi a Roma alla bella età di 103 anni. Era nata a Torino il 22 aprile 1909 e, come lei stessa aveva già commentato quando compì il secolo della sua vita, «… non conta quanto si è vissuto, ma il messaggio che si è dato», e la ricercatrice italiana di messaggi, anche impliciti oltre a quelli esposti verbalmente, ne ha dati molti, e credo che tutti noi dobbiamo fare tesoro di tali messaggi.

Essa, che era stata nominata Senatore a vita dall'ex presidente della Repubblica,  Carlo Azeglio Ciampi, invitò a credere nei valori, laici o religiosi non importa, «… purché siano valori, perché dopo la morte rimangono i messaggi che noi abbiamo lasciato, è solo il corpo che muore, qualcosa di noi sopravvive!».
Rita Levi Montalcini, di famiglia ebraica sefardita, ha esposto le sue memorie, risalenti al tempo delle persecuzioni razziali, edito da Garzanti in "Elogio dell'imperfezione", pubblicato nel 1990, dove essa, serbando un distaccato ribrezzo per i delatori fascisti di quel tempo nefasto, ha rammentando che proprio in quel frangente, nella sua casa di Torino e poi sfollata vicino ad Asti, era essa incapace di stare ferma, si era inventata il suo laboratorio nella casa in cui abitava, e poi in quella dov'era sfollata, ed è maturato il suo grande amore per la scienza.

«Ho perso un po’ la vista, molto l’udito – aveva affermato recentemente la Montalcini -. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente».

La storia della scienziata mi pare che corra parallela, pur non essendo complementare, con quella dei fautori dell'Istituzione ENS, anche essi, pur fra secolari credenze inenarrabili e le mille difficoltà analoghe del tempo di guerra, avevano lottato per realizzare un ideale.

Leggendo la biografia di Rita Levi Montalcini, mi sono ora ricordato che un mio amico, un paio d'anni fa mi aveva confessato che, secondo lui, quando si muore, "finisce tutto della vita di una persona". Essendo egli un sordo ben istruito, di buona famiglia e "popolare", lo è ancora nella comunità "silenziosa", quell'affermazione mi aveva colpito come un colpo basso, ma oggi, riscoprendo i valori in cui credeva anche la Montalcini, sono convinto ancor più convinto di avergli dato una risposta esauriente: «Certo, quando si muore cessiamo di vivere, ma se quello che abbiamo fatto, in cui abbiamo creduto e/o lasciato scritto, continuerà a sopravvivere».

Marco Luè

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