martedì 12 febbraio 2013

Come il cervello si adatta alla sordità

Il confronto fra l'attività di aree cerebrali di soggetti nati non udenti e di soggetti diventati non udenti dopo la nascita ha permesso di distinguere per la prima volta il contributo dei fattori sensoriali e di quelli cognitivi alla plasticità cerebrale. Questo risultato inoltre ha evidenziato che le regioni cerebrali studiate conservano una propria specificità nell'elaborazione delle informazioni anche dopo la riorganizzazione plastica del cervello.

La plasticità cerebrale – ovvero la capacità del cervello di modificare la propria struttura per adattarsi al tipo di stimoli provenienti dall'ambiente o sopperire a danni in alcune sue aree – può interessare sia le regioni corticali preposte alla percezione sia quelle che presiedono a funzioni cognitive di ordine superiore, ma ciascuna di esse conserva una propria “specifica computazionale”. E' questo il risultato di una ricerca - condotta da neuroscienziati dello University College di Londra e della Linköping University, in Svezia, illustrata in un articolo pubblicato su “Nature Communications” - che per la prima volta è riuscita a distinguere il contributo dei fattori sensoriali e di quelli cognitivi nei fenomeni di riorganizzazione neuronale.

Per riuscire nel difficile intento i ricercatori, diretti da Mary Rudner e Bencie Woll, hanno considerato due differenti gruppi di persone non udenti: individui che hanno ereditato questa condizione fin dalla nascita e che hanno imparato dalla più tenera età la lingua dei segni; individui diventati non udenti molto tempo dopo la nascita, quindi dopo aver acquisito il linguaggio parlato, e che per capire che cosa è detto loro sfruttano la lettura delle labbra, ma non hanno imparato la lingua dei segni.


In blu sono evidenziate la aree la cui plasticità sensoriale
è determinata dalla deprivazione sensoriale e in rosso quelle
la cui plasticità cognitiva è promossa
dall'esperienza di apprendimento del linguaggio dei segni.
(Cortesia Velia Cardi / Nature Communications)
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Lo sviluppo del linguaggio nei soggetti che appartengono al secondo gruppo è infatti diverso da quello dei non udenti, la cui “lingua madre” è la lingua dei segni. Questa circostanza permette di progettare esperimenti nei quali, grazie a tecniche di neuroimaging, è possibile discriminare fra attivazioni cerebrali specificamente legate all'elaborazione di informazioni linguistiche e attivazioni che sono effetto dell'elaborazione visiva generale.

Dal confronto fra i dati ottenuti nel corso di test in  cui i soggetti erano sottoposti a differenti tipi di stimoli, i ricercatori hanno stabilito che la corteccia temporale superiore dell'emisfero sinistro è coinvolta nell'elaborazione del linguaggio indipendentemente dalla modalità con cui il linguaggio si presenta. Inoltre, gli scienziati hanno scoperto che la ristrutturazione anatomo-funzionale che interessa questa area ha un'origine squisitamente linguistica, è cioè mediate dai meccanismi che presiedono in generale all'apprendimento, nel caso specifico dall'acquisizione, con uno specifico sforzo cognitivo del linguaggio dei segni. Per quanto riguarda invece la riorganizzazione della corteccia temporale superiore destra, sono stati rilevati chiari indizi del fatto che era guidata innanzitutto, e forse completamente, dal tipo di input sensoriale in arrivo.

“In conclusione – scrivono gli autori - la dissociazione tra gli effetti rilevati nella corteccia temporale superiore dell'emisfero destro e dell'emisfero sinistro dimostra che i fattori sensoriali e quelli cognitivi sono responsabili della plasticità in substrati anatomicamente e funzionalmente distinguibili. Inoltre, i nostri risultati mostrano che, anche dopo la riorganizzazione plastica, le regioni corticali possono conservare la natura della computazione che svolgono, adattando solo la loro funzione per trattare un diverso segnale di ingresso sia a livello sensoriale sia cognitivo.”

Fonte: le scienze.it

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