lunedì 18 gennaio 2016

"Educare i sordomuti" secondo don Andrea Volontè

Ho trovato in un faldone depositato - e dimenticato per anni - in un ripostiglio della Biblioteca "Benefica Cardano" - un fascicolo, "Estratto da L'Educazione dei Sordomuti", n. 6 dell'anno 1960, con l'intestazione «Personale specializzato e preparazione speciale degli insegnanti: collaborazione e non sostituzione dell'audiologo al maestro», redatto da Don Andrea Volontè (1918-1971), e mi sono affrettato a catalogarlo e inserirlo fra i testi nel catalogo "Istruzione dei sordi" della Biblioteca, poiché ritengo che sia interessante consultarlo.


Il testo pubblicato sul periodico "L'educazione dei Sordomuti" nel 1960, si compone di 13 pagine, ed è una relazione presentata a un Convegno di educatori dei sordomuti, che il sacerdote, insegnante ed educatore presso il Pio Istituto di Milano, e assistente spirituale dei sordi di Milano dal 1942 al 1961, scrisse di propria mano ed espose, a quel simposio.  Poi è stato trasferito a Roma, ma la sua attività milanese è stata feconda e intensa.

Nel suo testo, indicava che «Non è più il tempo di tentativi isolati …», né sui metodi, per l'istruzione dei sordi.  Don Volontè, da istruttore e studioso, riteneva si dovesse discutere, «… nella piena e ampia e fiduciosa collaborazione …», anche con la classe medica specializzata, ma secondo lui la specializzazione doveva tenere conto di tre punti specifici:
1. I perché di quella preparazione speciale;
2. Come ottenerla;
3. Con l'aiuto di chi dovrà essere questo insegnamento specializzato.

Al primo punto, il sacerdote fa presente che la sordità non è uguale, ci sono sordastri e sordomuti. I sordastri «… hanno una psicologia tutta particolare, che non è ancora stata studiata e sviscerata a fondo … ed  è solo un capitolo del trattato di psicologia  differenziale del sordomuto», e quindi fra i due elementi esiste una distinzione, ed è «… necessaria una preparazione specifica sia nel campo teorico, che in quello pratico».

Sul secondo punto, don Volontè fa presente che «Il problema dei sordomuti, e affini, era allora alquanto trascurato dalla classe medica … ferma al 1923, mentre la scienza aveva galoppato a velocità vertiginosa … I programmi scolastici devono mirare alla formazione di un'unica figura completa: l'insegnante per gli anormali (o difettosi, o altra migliore parola) dell'udito e della parola».
Al terzo punto, il prelato ed educatore precisa che egli con il termine "collaborazione" non intende "sostituzione" dell'otologo con il maestro. E' sbagliato ritenere che ogni fanciullo sordomuto, o sordastro, può imparare ogni volta che in esso si trovi in stato anatomico normale l'organo della voce, ma «… bisogna tenere presente la complessità  e la delicatezza  degli organi deputati alla registrazione centripeta e alla ripetizione  centrifuga dei simboli della parola parlata». E per istruire i bambini sordi «Ci vuole una vocazione, una preparazione e un'esperienza didattica speciali: ci vuole tempo, pazienza, dedizione continua e diuturna…».

Questa è la conclusione di don Andrea Volontè, dopo avere specificato esaurientemente i tre argomenti: «Ho toccato tasti e argomenti alquanto delicati, ma importanti, forse con un po' troppa foga, forse qualcuno potrebbe anche dire "con qualche punto di polemica"». Ne chiede scusa, il prelato, precisando che, comunque che, il suo pensiero, è scaturito dall'aver raccolto il senso di molte voci udite, e di discussioni avute, su questi argomenti, con vari colleghi, anche autorevoli e qualificati.
Marco Luè

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