venerdì 12 febbraio 2016

"La famiglia Belier" e la fragilità dell'esistenza

 Per il secondo anno consecutivo Magistratura Democratica, insieme alla Fondazione Culturale San Fedele di Milano, ha programmato la rassegna cinematografica dal titolo “Diritti… al cinema!”. Quattro mercoledì, tra gennaio e febbraio, di confronto e dibattito, tra magistrati, esponenti della politica, della cultura e della società civile, su temi di grande interesse che coinvolgono tutti i cittadini; su quei diritti e garanzie"formalmente" garantite dalla carta costituzionale ma troppo spesso messi in discussione o negati nella loro attuazione concreta e quotidiana.


Mercoledì 10 febbraio  2016 era in programma la proiezione di «La famiglia Bélier»,  un film francese del 2014, diretto da Éric Lartigau, vincitore del premio Salamandre d'or (Premio del pubblico) al Sarlat Film Festival, nel novembre 2014.

La protagonista del film, Paula Bélier ha sedici anni e svolge il ruolo di interprete e voce della sua famiglia, perché i Bélier, agricoltori della Normandia, sono sordi: Su questo spunto si snoda l’apprezzata commedia francese del 2014.

Rodolphe Bélier e sua moglie Gigi, tutti e due , sono agricoltori nella campagna bretone. Il loro figlio minore, Quentin, è anche lui sordo, mentre Paula, la loro figlia maggiore di sedici anni sente ed è un'indispensabile interprete con la per tutta la sua famiglia, aiuta nelle stalle e nella vita quotidiana, quando si tratta di rispondere al telefono, per discutere con il loro banchiere o tradurre una consultazione con il medico e al mercato cittadino, dove ogni domenica i Bélier vendono formaggio.

Al liceo, come attività curricolare, Paula sceglie il corso di canto perché vi si è iscritto un compagno di scuola che le piace. Thomasson, l'insegnante di canto, riconosce subito il talento latente di Paula, che va coltivato, e le propone di cantare in duetto insieme a Gabriel alla recita di fine anno. 

Gli eventi successivi stanno sono un po' comici, un po' patetici.  Paula sa gestire le situazioni, ma a un cero punto, tutto sembra rivoltarsi contro di lei, finché un giorno alla mensa scolastica Gabriel, che aveva rinunciato al duetto dopo un litigio con la ragazza, per la recita invita Paula a tornare a scuola di canto. La recita di fine anno è un trionfo, i genitori di Paula, anche se non sentono la musica, si accorgono che gli altri spettatori sono tutti commossi quando i due cantano insieme la loro canzone.

Nel corso della notte insonne il padre ci ripensa. Al mattino presto sveglia Paula e tutta la famiglia: si parte per Parigi. Arrivano alla Maison de Radio France appena in tempo per l'audizione; si precipitano anche Gabriel e il maestro di canto Thomasson che riesce ad accompagnarla al piano mentre canta Je vole di Michel Sardou, una canzone che parla di un ragazzo che lascia la casa dei genitori per seguire la propria strada. Paula, mentre canta, riproduce i testi con la lingua dei segni per la sua famiglia, seduta in platea. I genitori di Paula, commossi, accettano quindi la partenza della figlia. Il finale è davvero molto commovente, quando si accendono le luci, ho notato fra il folto pubblico (sala stracolma) molti occhi lucidi di lacrime.

Dopo la proiezione del film, era previsto un dibattito  condotto da Josep Moyerson, con la partecipazione di Isabella Menichiuni, dirigente del Comune di Milano, poi Riccardo Attanasio, Magistrato,  indi Daniele Donzelli, presidente della Fondazione Pio Istituto Sordi, infine Claudio Pacini, della Fondazione CondiVivere.

Presumevo che il dibattito sarebbe stato rivolto, almeno in  parte sulla questione dei cittadini sordi, cioè il tema che aveva proposto il film, invece la Menichini ha parlato della Convenzione ONU, un argomento, comunque, che certo comprende anche i sordi, pur se la Lingua dei Segni il Governo italiano ancora non l'ha adottata, quindi il magistrato Attanasio ha trattato l'argomento Lavoro per i disabili, anche questo riguarda pure i sordi, ma non li ha neppure minimamente citati. Daniele Donzelli ha invece osservato che il Pio Istituto dei Sordi di Milano, che ha festeggiato lo scorso anno il 160° anniversario di istituzione, primo in Italia come genere per i sordomuti di allora, e oggi, anche per la determinazione del suo primo Rettore, don Giulio Tarra. I sordomuti sono ora solo "sordi", e quindi riconosce "bello il film",  ma sanno parlare.

L'ultimo relatore ha parlato della condizione  dei ragazzi Down, un suo figlio ha quella disabilità, ma nulla di specifico, e neppure velato, su altre questioni.

Certo, le minorazioni sono varie e molteplici, ma da parte mia credo che  sarebbe stato  logico, e più corretto, commentare anche il film appena proiettato, tanto più che fra il folto pubblico i sordi erano la maggioranza, e altre disabilità non le ho neppure notate.
Marco Luè


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