mercoledì 19 luglio 2017

Tullio Tartaglia, medico, uomo e credente

“Umanizzazione delle cure e medicina narrativa. La diagnosi è nell’ ascolto”. Dopo la laurea a Siena, perfezionamento in Francia, a Milano, Roma e Napoli. 
Il tono basso di chi il carisma non ha bisogno di conquistarlo. Lo sguardo sereno di chi conosce le proprie competenze e le mette a disposizione dell’interlocutore. L’approccio “empatico” al paziente e la volontà di migliorarsi.
Così si presenta Tullio Tartaglia, medico otorino e della tiroide. Un curriculum di tutto rispetto. Dopo la laurea a Siena, ha perfezionato gli studi e la pratica all’Università di Bordeaux  in Francia, a Milano, sia al San Raffaele che alla Humanitas,  agli ospedali Gemelli a Roma e Santobono a Napoli, poi nei nosocomi di Piacenza, Pisa, Forlì ed Arezzo. Esperienze che lo hanno formato e hanno definito le sua modalità di rapportarsi al paziente.

In che modo hanno inciso gli anni lontano da Napoli?
Mi hanno consegnato una nuova visione del paziente, che non è un utente da smistare altrove, ma è una vera e propria risorsa. Spesso, al Sud, il disservizio è “funzionale” all’attività del privato. Non deve essere così. Io instauro un rapporto di collaborazione attiva con coloro che si rivolgono a me.

Cosa significa?
Collaborare significa innanzitutto ascoltare il paziente. Io credo alle sue parole e al suo modo di conferirle. Penso che la diagnosi sia già nel racconto. Molte patologie, infatti, sono psicogene. Consentire al tuo interlocutore di esprimersi e “narrare” il suo dolore, il suo malessere o il suo disagio, significa gettare un ponte. In fondo queste sono le basi della Medicina narrativa.

In che consiste?
Fondamentalmente in un approccio umanizzato con il paziente, dove il racconto e la raccolta anamnestica costituiscono la base di una modalità empatica di entrare in relazione per intraprendere un percorso terapeutico dove il medico è la figura di riferimento a cui affidarsi, non quella a cui difendersi. Mi piacerebbe che fosse attivato anche a Napoli il Master in Medicina narrativa e non nascondo che sto provando ad “importarlo”.

Come vivi il tuo essere medico?
Sono una persona molto pignola e mi dedico con un’abnegazione quasi totalizzante ai miei pazienti. Se commetto qualche errore, me ne rammarico moltissimo, ma mi piace che mi venga detto, perché considero la critica un trampolino per migliorarmi. Inoltre, sono uno che non si ferma. Ho una spinta a crescere inarrestabile. È per questo che sono in grado di fornire a chi ricorre a me percorsi terapeutici completi, sia per quanto riguarda le patologie otorinolaringoiatre sia per quelle tiroidee.

Può farci un esempio?
Nel primo caso, metto a disposizione le nuove tecnologie come, ad esempio, l’endoscopia nasale o quella laringea. Queste, tanto per intenderci, determinano, già nell’immediato, una presa di coscienza da parte del paziente. Per le allergie, invece, lavoro con la citologia nasale, per comprendere se si tratta di poliposi nasale e sinusite.

E nel caso di disturbi tiroidei?
Effettuo dapprima un’ecografia tiroidea, poi procedo con la valutazione ormonale. Il percorso termina con eventuale ago aspirato e operazione chirurgica. Credo che sia importante accompagnare il paziente in ogni fase. È una questione di etica professionale. Poi, per chi ha fede, come me, diventa anche un momento di vicinanza umana.

Lei ha accennato alla dimensione della fede. Influisce sul suo lavoro?
Ovviamente sì. In termini solidaristici, nel caso di persone che hanno gravi difficoltà economiche, ma anche nell’affidarsi a una Mano più potente in situazioni complesse e drammatiche. Il nostro vescovo, monsignor Francesco Alfano, mi ha chiesto di lavorare ad un’associazione di medici cattolici. La abbiamo costituita e io e sono presidente. C’è tanta progettualità, ma soprattutto c’è l’impegno ad organizzare ritiri spirituali per non perdere di vista la propria missione.

Si esaurisce qui il suo impegno nel sociale?
No. In realtà faccio parte anche del Rotary Club. Credo molto nell’associazionismo e nell’impegno fattivo a favore dei più bisognosi. Non c’è emozione più bella del dare. Non dimenticherò mai gli occhi di una bambina a cui fu inserito un impianto cocleare per l’udito. Dal silenzio ai rumori, alle parole, alla musica. Se dovessi descrivere la felicità, lo farei con quel volto e con le lacrime della madre. Perché in certi miracoli c’è Dio. Lo strumento, però, è il medico preparato, competente, deciso ad offrire il meglio di sé.
Nancy De Maio. Fonte: agorainforma.it

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